Cosa serve per fotografare? Ragionamenti in memoria della mia prima reflex, comprata con i soldi del militare di leva.
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Foto da pendolare (in Liguria...sic!)
Viaggiare in treno per un fotografo è come andare al Luna Park. Anche se non sei uno street-photographer in una stazione ferroviaria ti sembra di essere in una palestra tutta per te ed il tuo sguardo fotografico, accadono continuamente cose davanti e dietro ai finestrini. Anche quando non succede nulla di particolare, come in questo caso, è irresistibile "creare" una scena che esiste solo davanti agli occhi del fotografo, solo in quel momento. Quando parti, guardare fuori è meglio della televisione (senza pubblicità), allenamento conitnuo degli occhi e delle tue capacità di composizione.
Da quando insegno a Genova faccio cento chilometri di foto ogni volta, due o tre volte alla settimana. Immagino ne nascerà una delle mie serie preferite. Andare in auto, a volte è obbligatorio, è diventata una condanna.
Dedico questo lavoro a tutti gli allievi che mi dicono di avere poco tempo per fotografare. Il fotografo non ha "un" tempo per scattare. Il fotografo scatta continuamente, anche quando non ha la macchina tra le mani.
Si dice "perdersi a guardare" secondo Mimmo Iodice.
Senza seggiovia: storie di ordinaria resistenza in montagna.
"I giornali parlano di tutto, tranne che del giornaliero. Quello che succede veramente, quello che viviamo dov’è? Il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, in che modo renderne conto, in che modo descriverlo? Forse si tratta di fondare la nostra propria antropologia: quella che parlerà di noi, che andrà cercando dentro di noi quello che abbiamo rubato così a lungo agli altri."
(Georges Perec – L’infra-ordinario 1973)
Citazione della citazione di Perec dal post odierno di Sara Munari, arrivato proprio mentre sto per pubblicare questa fotografia: la faccio mia perchè è troppo calzante, non resisto.
In montagna, anche sul nostro Appennino a portata di wi-fi, il quotidiano è molto particolare. Non c'è nulla di ordinario, per scaldarsi si possono anche pigiare pulsanti vari, ma è troppo normale, economico, andare a legna (non vorrai mica usare quella pazzesca invenzione del pellet?!?). E la legna si prende con carriola e bambina nel marsupio.
Sto fotografando da tempo la vita ordinaria di persone che hanno scelto di stare in montagna, volendolo. Potrebbero scendere, stare più comodi e mettere la sveglia due ore dopo: in pianura tante cose son scontate, non serve telefonare allo spalatore per sapere se oggi riesce a raggiungerti.
Comincio dalle donne perchè su di loro spesso la pressione è più alta. All'uomo, come si sa, basta un bar aperto nel raggio di 15 chilometri.
Forse siamo noi fuori dall'ordinario: quelli che vivon d'estate con il giacchetto sotto l'aria fredda e l'inverno stiamo in casa in mutande.
Piccolo uomo davanti al monte
L'annuncio di un reportage fotografico sulla vita in montagna.
Read MoreUna rara foto utile: "UNPAESEINSCALA-ritratto di famiglia"
Unpaeseinscala è un progetto fotografico che ho cominciato nel 2005: mi ero messo in testa di raccontare la mia città, La Spezia, attraverso i volti di "tutti" i suoi abitanti. Volevo costruire un enorme album di famiglia alla maniera del fotografo ambulante di un tempo. Poi una cosa tira l'altra, mi son fatto prendere la mano e sono ancora qui a parlarne dopo dieci anni, sei o sette tappe in giro per l'Italia e oltre diecimila persone fotografate
L'idea mi era nata dalla passione sviscerata per il lavoro di Paul Strand e Cesare Zavattini a Luzzara, paese natale dello scrittore che invitò il grandissimo fotografo a raccontare il suo paese a quattro mani, foto e testi. Il libro che nacque, "Un Paese" è una pietra miliare della storia della fotografia. Strand faceva il suo lavoro condotto da Zavattini, quando scattava ritratti le persone venivano intervistate. Ovviamente le esigenze del lavoro non poterono dedicare attenzione a tutti gli abitanti. L'autore se ne lamenta nell'introduzione e dice, più o meno (cito a memoria) "mi piacerebbe un bel giorno fare un librone di mille pagine e dedicarne una ad ognuno dei miei compaesani. E se non lo farò io, che lo faccia qualcun'altro". Con un bel po' di presunzione decisi di accollarmi idealmente l'impresa. Il nome del progetto "inscala" è dovuto sia alla ovvia considerazione che il mio "UNPAESE" è ben poca cosa se paragonato all'originale, sia al fatto che dietro alla campagna fotografica c'è il pensiero che il valore di ogni persona è un "tutto" indispensabile alla comunità. Non è il numero che conta, ma la singola, individuale, irripetibile storia di ognuno all'interno della sua città. Ogni persona "è" la città. Ne deriva che i soggetti fotografati non sono la teoria dei personagi più pittoreschi, belli o importanti. Ogni storia ha il diritto di essere raccontata.
Tra varie "peripezie" il progetto fu partorito nel 2005 dopo ben cinque anni di ragionamenti, abbandoni, ripensamenti. Finalmente una serie di incontri felici fanno rinascere l'idea.
Cerco di costruire una squadra di colleghi, pensavo ad una campagna di ritratti collettiva. Mi sarebbe piaciuto che a guidare le operazioni fosse Gianni Berengo Gardin, "padre" di tutti i fotografi italiani e, soprattutto, autore di "Un Paese Vent'anni dopo", campagna fotografica del 1975 sempre con Cesare Zavattini. Nessuno quindi più indicato di lui. Non mi scorderò mai il primo contatto: pesco semplicemente il numero dall'elenco (eh sì, esistevano ancora telefoni fissi ed elenchi!), mi risponde e dopo pochi giorni mi ritrovo a casa sua a MIlano. Mentre mi fa vedere cimeli, mille libri fotografici e altro (come la famosa dedica di HCB) gli racconto del progetto. Dice che parteciperà molto volentieri. Era il giorno del mio compleanno, il 12 Aprile del 2005, un bel regalino per me.
Invito allora alcuni fotografi spezzini, quelli con cui mi sentivo in sintonia e che apprezzavo maggiormente. Alcuni hanno smesso, altri come Iacopo Benassi sono diventati meritatamente famosi. Ad Agosto Gianni Berengo Gardin tiene a battesimo i primi scatti dopo una presentazione alla stampa in pompa magna. La modalità delle riprese è centrata su una sala di posa itinerante, ricavata in un bellissimo caravan da circo di Alessia Carozzo, amica, ispiratrice e collaboratrice dell'epoca. Lo piazziamo nelle piazze e chiunque può venire a farsi ritrarre. Il progetto prosegue poi in modo diverso dal preventivato ma la sostanza è che UNPAESEINSCALA, dopo oltre 2000 ritratti alla Spezia, ha toccato Trento, dove ho avuto il piacere di lavorare insieme a Massimo Zarucco, poi Genova, Sassari, Cagliari e altri centri minori, per oltre diecimila ritratti eseguiti.
Oggi ho voglia di ricominciare. Le cose nella vita vanno e vengono, l'uomo determinato crede di guidarle, gli sconclusionati come me pensano che debbano "accadere". Altri incontri, nuovi amici, esperienze accumulate hanno ricreato le occasioni giuste.
Nel riproporre il progetto, insieme a Simone Paoli e Letizia Merlo, voglio ripartire da una delle migliaia di foto scattate a Trento e pubblicata poi nel libro relativo a quella tappa. Da questa immagine e dalla storia che la accompagna scoppia fuori prepotente il senso del fare fotografia e di questo progetto.
La persona che vedete nell'immagine di apertura, la seconda dall'alto a sinistra, quell'uomo con una fotografia in mano, la ritrovo alla mostra finale: esposti tutti i ritratti alla fine delle riprese, tutti potevano venire a prendersi la propria stampa, volevo che le fotografie "tornassero" nella mani dei veri protagonisti del progetto (in fondo sono un fotografo ambulante!).
Non resisto e gli scatto una foto della foto...con la foto in mano!
Chiedo come mai si fosse presentato in sala di posa con quella stampa in mano. Lacrime agli occhi, racconta che la foto di sua madre con lui bambino in mezzo ai fatellini era costata carissima all'epoca, non avevano molti mezzi ed erano scesi dalle montagne in città per farsi un ritratto con i vestiti migliori. La donna doveva mandare al marito, in prima linea al fronte, giovanissimo ma già padre di tre figli, una "prova" che gli permettesse di essere spostato nelle retrovie per non lasciare una banda di orfani. L'operazione riuscì: non solo la foto salvò la vita al padre, ma dalle cucine dove era stato mandato ogni tanto riusciva anche a spedire a casa un pezzo di parmigiano. E' una delle rare foto davvero utili che conosco.
Coming soon.
Quella che segue è la citazione che apriva una delle pagine del libro "Trento in scala". E' del 55, l'anno di pubblicazione di "Un Paese", chissà se La Pira lo aveva già visto.
Le città hanno una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso
e profondo: hanno un loro volto: hanno, per così dire, una loro anima ed
un loro destino: non sono cumuli occasionali di pietra: sono misteriose
abitazioni di uomini
(Giorgio La Pira, 1955)